INTRODUZIONE
Dopo Espero e Sirio anche il fondo Perseo è divenuto realtà e nel bene o nel male ne dobbiamo tenere conto.
In tal modo i fondi previdenziali integrativi entrano nel pubblico impiego dopo la famigerata riforma del Tfr del 2007 che ha investito i lavoratori privati.
Noi non nascondiamo la nostra contrarietà e diffidenza verso questi strumenti.
Con questo opuscolo cercheremo di spiegarvi le nostre ragioni e di capire che relazione c’è fra la creazione dei fondi pensione e le riforme pensionistiche.
Ma procediamo passo dopo passo partendo dalle “origini”
Le riforme previdenziali ossia il germe dei fondi integrativi.
Ci siamo mai chiesti quale sia stato l’atto originario dei fondi integrativi?
Tutto nasce dalle riforme del sistema pensionistico iniziate negli gli anni ’90 e proseguite fino ai giorni nostri.
Anzi possiamo affermare che per la privatizzazione delle pensioni la macchina era gia pronta per partire, prima dello sblocco definitivo dei fondi e dello sblocco del Tfr. Sarà una coincidenza, ma dobbiamo ricordare che il processo di privatizzazione del sistema finanziario e bancario italiano è stato avviato contemporaneamente alle riforme del sistema previdenziale pubblico e le leggi che regolano il settore sono state firmate, più o meno dagli stesso uomini che hanno gestito il passaggio della previdenza al sistema misto "pubblico-privato" negli anni novanta. Ad esempio Giuliano Amato, ha firmato sia la prima riforma che ha ridotto le pensioni pubbliche sia la riforma del sistema bancario.
Riforme pensionistiche allegramente varate sia dal centro sinistra che dal centro destra, ricordiamo le riforme Dini, Amato, Prodi, ecc. solo per citarne alcune.
E queste riforme previdenziali si sono basate su falsi assiomi e falsi miti, creati ed alimentati artificiosamente per giustificare il massacro sociale e dividere i lavoratori.
Sono nate così: la favola del deficit dell’Inps, del gap generazionale, dell’insostenibilità del sistema previdenziale, tutte frottole.
Vediamole una ad una:
Il falso deficit dell’Inps
Puntualmente, per giustificare le varie riforme previdenziali si è creata la psicosi sui conti dell’Inps.
Stando a questi signori l’ente previdenziale sarebbe sull’orlo del baratro, ad un passo dalla bancarotta.
Ma è realmente così? Secondo noi no.
In ogni caso esistono soluzioni alternative per migliorare il bilancio dell’Inps che non sono mai state prese in considerazione.
Innanzitutto l’Inps è stato oberato di costi che in realtà non sono proprio attinenti ai suoi scopi previdenziali: stiamo parlando della cassaintegrazione, della assistenza (pensioni sociali, d’invalidità, ecc) tutte cose più che giuste ma che dovrebbero gravare sulla fiscalità in generale. Invece i percettori di redditi di capitale su queste spese non forniscono alcun contributo.
E che dire dell’accorpamento di quei fondi speciali assorbiti dall’Inps non per un ottica di risparmio e di gestione unica ma perché prossimi al collasso e quindi salvati dall’Inps?
Caso emblematico l’assorbimento nel 2002 dell’Inpdai che aveva raggiunto un deficit di ben 900 milioni di euro. Deficit provocato dalla basse aliquote contributive versate a fronte di un più elevato reddito pensionistico rispetto all’Inps ed in parte dalla sproporzione tra attivi e pensionati (13 mila dirigenti in servizio contro 90 mila pensionati).
Per ultimo la creazione del Super-Inps con la fusione dell’Inpdap e dell’Enpals.
E qui gravano i conti in rosso dell’Inpdap, ma attenzione dobbiamo evidenziare che i problemi di bilancio dell’Inpdap non sono dovuti a problemi strutturali ma al mancato versamento da parte dello Stato dei contributi previdenziali, a tutta la serie di privatizzazioni ed esternalizzazioni dei servizi che hanno avuto esiti a dir poco disastrosi, alla gestione privatistica del patrimonio immobiliare dal 1996 a l 2004 che ha avuto risultati contabili assolutamente negativi e per finire i soldi raccolti con la cartolarizzazione degli immobili sono stati dirottati al Ministero del Tesoro.
Per finire non dimentichiamo i mancati introiti derivanti dal lavoro nero, quantificabili in centinaia di milioni di euro.
L’insostenibilità del sistema previdenziale
Anche questo assioma è falso poiché il rapporto tra spesa previdenziale e prodotto interno lordo è in realtà paritetico ad altri stati europei come Germania, Danimarca e Finlandia.
Il problema dell’allungamento dell’aspettativa di vita.
Questo principio è stato la fonte ispiratrice delle ultime riforme, che con il perverso meccanismo di innalzamento dell’età pensionistica eleva l’agognato traguardo oltre i 65 anni.
Come tutti i falsi ragionamenti precedenti anche questo è un’autentica guerra di classe contro i lavoratori dipendenti. Il meritato riposo diventa un miraggio sempre più irraggiungibile. Si instaura un diabolico meccanismo che mira a scardinare il sistema pensionistico.
Infatti, poiché la produttività del lavoro cresce in media dell’1-2% annuo va da sé che con il passare del tempo sarà perfettamente possibile pagare la spesa previdenziale di un maggior numero di pensionati, a patto però, che questo valore aggiunto non finisca nelle casseforti degli imprenditori.
Per di più in tal modo impediamo il ricambio generazionale alimentando il meccanismo della disoccupazione giovanile, tant’è che la fascia di precari 30-40 enni aumenta sempre di più.
Il mito delle culle vuote
Anche in questo caso si applica il ragionamento precedente se aumenta la produttività aumenta la capacità del sistema previdenziale. In ogni caso non ha senso preoccuparsi della denatalità se vi sono milioni di disoccupati e lavoratori in nero che potrebbero far affluire centinaia di milioni nelle casse previdenziali. Non dimentichiamo inoltre quella forza lavoro legata all’immigrazione.
Chi paga le pensioni?
Altro principio errato strettamente legato a quello della guerra generazionale è quello che i figli pagano le pensioni dei padri. Ma poniamoci alcune domande: i soldi che accantoniamo durante la nostra vita lavorativa dove finiscono?
È un eresia fare un parallelismo fra il sistema bancario e quello previdenziale?
Il primo si poggia sul principio che accumulando un capitale negli anni questo produce degli interessi che alla loro maturazione daranno una rendita. Su questo principio si basa anche la previdenza integrativa.
Orbene, se consideriamo questo principio esatto, allora deve valere anche per le nostre pensioni, in caso contrario le stesse pensioni integrative non hanno ragione di esistere.
Ma allora, perché tutto ciò?
Per un semplice motivo.
La contrapposizione degli interessi di classe, lavoratori subordinati e datori di lavoro, hanno interessi contrapposti. Poiché l’attuale sistema economico-politico è nelle mani del grande capitale, ne deriva che sono i lavoratori ad essere la parte più debole.
Concretizzando, alla base c’è l’interesse economico di chi detiene il potere, e poco importa se si tratta di lavoratori pubblici: il principio vale per tutti.
Altra motivazione è quella di immettere ulteriore denaro nel mercato finanziario e dare così nuove risorse sia allo stesso mercato che al sistema bancario.
Fino a quando noi lavoratori non riusciremo a rivoluzionare questo sistema, la cui logica rende merce da cui ricavare profitti cose, esseri viventi e ambiente, saremo sempre sfruttati. E sebbene la battaglia per quest’obiettivo potrà avere fasi alterne, non dobbiamo dimenticarci che l’unica lotta persa è quella che non si fa.
Per finire, abbiamo capito che le riforme pensionistiche non sono così necessarie, sappiamo bene che continuando così non ci aspetta un futuro roseo, che la nostra vecchiaia e quella dei nostri figli rischia di essere sulla soglia della povertà e della sopravvivenza.
L’unica strada da percorrere è quella della riorganizzazione e della lotta per riavere pensioni dignitose. Non sarà un’impresa facile, ci vorranno anni, ma dobbiamo riprendere in mano la difesa del nostro futuro e di quello delle prossime generazioni, partendo dalla previdenza per riconquistare un sistema di diritti forte e di accesso ai servizi universalistico. Più aspettiamo più difficile sarà invertire la rotta.
PARLIAMO ORA DELLA PREVIDENZA INTEGRATIVA.
Come abbiamo già detto con Sirio e Perseo si chiude l’offerta dei fondi pensione nel pubblico impiego e si vorrebbe replicare l’offensiva contro il Tfs/Tfr che nel lavoro privato fu avviata nel 2007.
In realtà questo offensiva è in corso da diversi anni tant’è che l’accordo nazionale quadro fu siglato il 29 luglio 1999 e sottoscritto non solo dai Confederali ma anche da altre sigle del mondo dei cosiddetti sindacati “autonomi” come ad esempio la Confsal (di cui fa parte il Diccap), Ugl e Csa. Gli unici a dire sempre no, furono i sindacati di base.
Già da queste affermazioni possiamo capire che il sindacalismo di base è contrario all’uso dei fondi pensioni; ma vediamo su quali basi si basano le nostre perplessità.
Poniamoci alcuni quesiti a cui, per ragioni di spazio, daremo delle brevi risposte che ci auguriamo possano essere spunto di una riflessione per i nostri lettori.
I fondi pensione vengono presentati come previdenza complementare o integrativa, ma integrativa di che cosa?
Il loro scopo dovrebbe essere quello di integrare le pensioni che sono state rese più misere dalle varie riforme pensionistiche. Ma a nostro avviso l’uso di aggettivi come complementare o integrativa sono stati usati in maniera artificiosa in quanto la fonte primaria di alimentazione è il nostro Tfr/Tfs.
Ne consegue che mensilmente una quota del nostro Tfr/Tfs verrà distratta dal suo uso naturale per essere dirottata sul fondo Perseo (o simili). Quindi al momento del pensionamento la nostra liquidazione verrà decurtata delle quote che sono state destinate al fondo, con la conseguenza di ricevere una somma più bassa rispetto a coloro che non hanno aderito e versato nulla al fondo. In teoria dovremmo avere il capitale racimolato tramite la previdenza integrativa, in teoria … è proprio questo il punto, nessuno ci potrà dare la garanzia di quanto sarà questo capitale e se vi sarà questo capitale, non vi è la sicurezza.
Notiamo come, questo semplice meccanismo sia sottaciuto nelle spiegazioni ufficiali. Come in qualsiasi prodotto commerciale si pubblicizzano le meraviglie e i futuri (ed ipotetici) proventi mirabolanti.
Signori un po’ di serietà: stiamo parlando delle nostre pensioni, del nostro futuro.
I fondi pensione danno un rendimento fisso?
No! In un fondo d’investimento la redditività è legata all’andamento del mercato finanziario con tutti i rischi che ne conseguono. Il fondo potrebbe avere una debacle totale ed essere estinto senza che gli aderenti abbiano un utile, anzi perderebbero il capitale investito.
Il mercato finanziario è per sua natura soggetto a vari stimoli che possono portare a forti oscillazioni. Recuperare il ribasso subito non è così semplice, facciamo un esempio: abbiamo 100 e subiamo un ribasso del 50% ci ritroviamo con un capitale pari a 50, a questo punto abbiamo un rialzo pari al 50% teoricamente il rialzo sembra essere pari al ribasso e quindi pensiamo di essere tornati in pareggio (100) ma in realtà siamo a 75 (50+50%) per tornare al nostro capitale iniziale dovremmo avere un rialzo del 100%.
Non dimentichiamo il ruolo destabilizzante delle crisi economiche e soprattutto dobbiamo capire che le crisi economiche non sono un fatto straordinario ma si susseguono frequentemente. Facendo semplici ricerche su internet scoprirete che nell’ultimo secolo abbiamo avuto delle drastiche crisi nel 1905, nel 1929, nel 1950, negli anni settanta (legata alla crisi petrolifera) negli anni novanta, ecc.
Per fare un esempio al termine della crisi degli anni 70 il mercato azionario aveva subito un crollo del 77%, ciò ha voluto dire che chi aveva investito un capitale all’inizio della crisi al suo termine lo ha ritrovato decurtato di oltre i 2/3.
Il mio capitale è garantito?
No! Operando sul mercato finanziario è possibile anche una perdita totale.
Anche su questo punto gli imbonitori di turno (compresi Cgil, Cisl, Uil) cercano con giochi di parole di camuffare e nascondere i fatti.
Ad esempio: leggiamo nell’opuscolo Cisl “La gestione della masse raccolte, in base alla tecnica della capitalizzazione, comporta l’erogazione delle prestazioni esclusivamente nei limiti della consistenza del patrimonio in gestione. Questa modalità rende impossibile il verificarsi di squilibri gestionali e garantire ai fondi pensione l’impossibilità di fallire”.
Messa così la cosa che salta subito all’occhio è l’affermazione che i fondi non possono fallire, la prima parte del periodo appare nebulosa poco comprensibile. Solo più avanti si ammettono i rischi legati al mercato finanziario; in pratica ci dicono che il totale delle pensioni erogate dovrà essere uguale al patrimonio accumulato, cercando di rassicurarci sulla solidità economica del fondo.
Quello che non ci dicono, anzi ce lo dicono ma fra le righe e senza la dovuta chiarezza, è che a causa dei rischi finanziari il patrimonio potrebbe ridursi nel tempo.
Degli investimenti sbagliati possono causare non solo un mancato aumento del patrimonio ma anche una sua sostanziale riduzione, il fondo tecnicamente non è fallito ma è ugualmente in perdita e soprattutto ne pagheranno le spese i lavoratori.
Posso ritirarmi dal fondo?
Per primo dobbiamo ricordarci che aderendo ad un fondo pensione passiamo obbligatoriamente da Tfs al Tfr (che è meno conveniente), fatto questo possiamo affermare che in pratica una volta che entriamo nel meccanismo non ne possiamo più uscire. È possibile riscattare la propria posizione maturata solo in caso di morte, dimissioni, licenziamento nelle ultime due ipotesi è possibile trasferire la posizione presso altri piani previdenziali, ma non è possibile tornare al Tfs.
Si possono chiedere delle anticipazioni solo dopo 8 anni ed esclusivamente per spese sanitarie e per l’acquisto e l’effettuazione di interventi sulla prima casa di abitazione per sé o i propri figli.
Il fondo è gestito da professionisti?
Normalmente si tratta di aziende specializzate, con compartecipazioni da parte degli istituti bancari.
Ma tutto ciò non può rassicurarci in quanto anche i fondi pensione delle stesse banche talvolta sono falliti (ricordiamo il fondo Comit, il caso Ibi, Bnl, Sicilcassa). Ed è inutile che cerchino di rassicurarci affermando che si tratta di fondi di vecchia generazione con gestioni talvolta poco trasparenti e discutibili.
Ma abbiamo anche altri esempi dall’estero: nel 2012 il fondo pensione dei dipendenti dello stato del New Jersey (uno fra i più ricchi) doveva pagare 128 mld di dollari di pensioni ma aveva investimenti solo per 86 mld, un terzo delle pensioni già maturate era scoperto.
Sempre negli Stati Uniti il 14 giugno 2010 il repubblicano Phil Roe doveva ammettere che dei circa 60 milioni di lavoratori che investono nei fondi pensione, i più anziani continuano a ritardare il pensionamento a causa delle basse rendite accumulate.
Anche oggi la situazione societaria del fondo Perseo è più somigliante ad un gioco di scatole cinesi tutto il contrario della trasparenza necessaria.
Vi sono dei controllori?
Certo, la Covip, ecc, ossia quegli organismi che per anni hanno dato piena fiducia alle obbligazioni Parmalat, Cirio: ricordate come è andata a finire?
Vi sono fondi più sicuri, più garantiti?
Di norma i fondi seguono differenti livelli di rischio, più il rischio è alto, più è alto il potenziale guadagno, teoricamente i fondi garantiti si basano su obbligazioni o titoli di Stato ma abbiamo già visto (Parmalat, Cirio, Bond argentini) che anche queste non sono sicure.
I lavoratori che controllo hanno?
Il consiglio di amministrazione e gli organi statutari sono divisi a metà con i rappresentanti dei lavoratori. Peccato che sempre di più i sindacati si stiano trasformando in holding finanziarie dove non è agevole capire i conflitti di interesse. Ad esempio nel 2011 fra i gestori finanziari del fondo Espero c’era l’Unipol notoriamente collegata ai sindacati Confederali.
Per di più tutte le pensioni complementari sono gestite da società finanziarie facenti capo a banche od assicurazioni, che a loro volta dipendono da grandi gruppi finanziari o fondazioni. Il sistema è ormai completamente privatizzato ed è concentrato nelle mani di pochi grandi gruppi nascosti all'interno di una vasta nebulosa di intrecci.
Il quadro è ulteriormente complicato dalla presenza di grandi gruppi stranieri e da gestori di livello internazionale, ai quali anche i fondi pensione dei sindacati affidano i risparmi previdenziali dei lavoratori.
Ad esempio i fondi Perseo e Sirio hanno come amministratrice la Previnet spa, che ha come soci la JZ Italy srl, società olandese, e la Serviceurope srl, posseduta interamente dalla Rbhold spa (dove soci e amministratori si ripetono) in un gioco di scatole cinesi
Vi sono delle agevolazioni fiscali?
Calcolare esattamente quali sono i vantaggi fiscali legati ai fondi pensione non è così agevole, in quanto occorre tener conto di svariati fattori.
In primis il fatto che con il passaggio dal Tfs al Tfr scegliamo un metodo di calcolo meno favorevole.
In ogni caso dobbiamo tener conto che le agevolazioni possono essere soggette a mutamenti. Non dimentichiamo che alla nascita delle assicurazioni vita si instaurò un regime fiscale conveniente che dopo alcuni anni venne revocato.
Concludendo ciò che può essere conveniente oggi, non è sicuro che duri nell’arco del tempo tenuto conto che chi aderisce ad un fondo pensione dovrebbe farlo con prospettive di tempi lunghi.
La previdenza integrativa sarà l’ancora di salvezza per il futuro pensionistico dei giovani?
Questo è quello che continuano a dirci, ma in realtà i giovani dai fondi integrativi non hanno nulla da guadagnarci in quanto la precarietà della loro posizione lavorativa fa sì che difficilmente potranno versare contributi sufficienti a far maturare un capitale di un certo rilievo.
Quanto occorre investire nella previdenza integrativa?
Sinceramente noi i calcoli non abbiamo avuto il coraggio di farli, riportiamo ai lettori le parole pronunciate nel 2003 da Francesco Paparella presidente dell'Aiba (Associazione Italiana Brokers di Assicurazioni e Riassicurazioni): "per arrivare a costruire una pensione integrativa di almeno novecento euro al mese bisogna mettere in conto una spesa media di cinquemila euro all'anno".
Meno chiaro ma altrettanto drammatico Giuliano Cazzola sul Sole 24 Ore del 9 giugno 2003: "Anche la previdenza privata a capitalizzazione conosce il precetto biblico: riceverete quanto avete dato. Così le stime calcolano che, per ricevere da un fondo una pensione pari all'incirca al 16-17% dell'ultimo reddito, è necessario contribuire al finanziamento della propria pensione individuale con apporti dell'ordine del 9,25% del reddito".
A nostro parere si tratta di cifre alla portata di pochi privilegiati, in quanto dobbiamo ricordare che si tratta di importi procapite per cui una famiglia composta da marito, moglie e solo un figlio dovrà dirottare sulla pensione integrativa circa dieci mila euro l'anno.
I risvolti sociali
L'istituzione della previdenza integrativa con l'evidente scopo di ridurre ai minimi termini la pensione pubblica ha dei pesanti risvolti sociali. In primo luogo si è spezzata la catena di solidarietà che teneva unita la società, si porta avanti il puro egoismo, la cultura del si salvi chi può.
Dobbiamo evidenziare un altro punto di assoluta importanza: i fondi pensioni furono istituiti la prima volta nel Cile di Pinochet che con il suo ministro José Piñera tagliò di fatto le pensioni pubbliche in favore di una previdenza privata. Dal Cile il sistema pensionistico di Piñera fù esportato verso altri stati come la Gran Bretagna.
Ma in tutti questi stati in cui il sistema della previdenza integrativa è in vigore da diversi anni, si registra che larghe fasce della popolazione non sono in grado di parteciparvi restando di fatto scoperte, senza un sistema previdenziale che possa garantire la loro vecchiaia.
Lo stesso accade anche negli Usa, dove a causa dei rendimenti altalenanti dei fondi pensione migliaia di lavoratori già pensionati hanno dovuto cercarsi un nuovo lavoro poiché il loro fondo pensione non era in grado di garantirgli un tenore di vita adeguato.
In sostanza queste riforme fatte in nome dei giovani, sono contro di essi, poiché non avranno mai una pensione come quella che hanno avuto i loro padri, sono costretti a risparmiare durante la loro vita lavorativa precaria, per costruirsi una pensione privata incerta. Quindi non si tratta di essere o non essere a favore dei fondi pensione, ma più semplicemente di capire dove possono andare a cercare tutti questi soldi i milioni di giovani che hanno lavori a tempo determinato e sono troppo spesso sottopagati. Inoltre le varie riforme "neoliberiste" che stanno smantellando tutto il sistema del welfare causeranno un aumento dei costi dell'istruzione, della sanità, ecc.
Che fare?
È evidente che ci troviamo di fronte ad un problema di non facile soluzione e dai risvolti drammatici. I lavoratori sono stati posti davanti ad una situazione di fatto in cui prevale il si salvi chi può e la “soluzione” personalistica tramite una pensione integrativa di dubbia utilità.
Considerato che una parte dei sindacati hanno di fatto accettato lo status quo sedendosi nei consigli di amministrazione dei fondi pensione, proponendosi come promotori degli stessi, ai lavoratori rimane da usare l’arma dell’autorganizzazione mobilitandosi dal basso e costruendo un fronte unitario con le sigle sindacali ancora disposte a lottare per riconquistare una pensione dignitosa.
Non è un obiettivo facile, ma è improrogabile, non possiamo tirarci indietro poiché ne va del nostro futuro, di quello delle nuove generazioni, e in particolare del concetto di distribuzione della ricchezza di un paese. A causa della progressiva riduzione dei diritti operata dai governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni, ci hanno confezionato una società profondamente polarizzata: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri aumentano sempre di più! Questo è l’obiettivo primario il più difficile ma irrinunciabile.
Vogliamo avanzare un'altra proposta, da cui potrebbero conseguire risorse necessarie ad un netto miglioramento del sistema previdenziale e non solo.
È necessaria e non più rinviabile l’istituzione di un tetto ai trattamenti previdenziali, in concreto si tratta di dare un bel taglio alle pensioni d’oro.
In Italia esistono un congruo numero di personaggi che per vari motivi percepiscono una o più pensioni che raggiungono l’importo di svariate decine di migliaia di euro, per di più per le qualifiche svolte, molti di essi pur essendo in quiescenza continuano a svolgere attività lavorative di vario genere (consulenze, autori di libri, ecc) che sono un ulteriore fonte di reddito.
Riteniamo che porre un tetto a tali spese sia ormai indispensabile; porre un tetto più che dignitoso di 5 mila o 6 mila euro sarebbe per loro così insostenibile?
In tal modo si potrebbero risparmiare svariati miliardi da utilizzare per il sistema previdenziale.
Di certo, come già avvenuto, ci sarà qualcuno che dirà che è un progetto incostituzionale.
Va bene, ma quanto è costituzionale o se vogliamo solamente morale condannare milioni di lavoratori all’ergastolo lavorativo e ad un tenore di vita che rasenta quello della sopravvivenza?
La realtà è solo una, dobbiamo essere noi diretti interessati a mobilitarci senza delegare più a nessuno la difesa dei nostri diritti, del nostro futuro alleandoci con quelle sigle sindacali ancora disponibili alla lotta.
Tutti uniti potremo imporre le nostre condizioni.