Con la sentenza 9 ottobre 2013, n. 22974 la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione torna a ribadire il postulato già più volte enunciato in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, secondo cui il diritto al riconoscimento della rendita prevista dalla normativa in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali (D.P.R. n. 1124/1965) implica uno stretto legame tra patologia e attività lavorativa, che si realizza soltanto se la malattia sia contratta nell’esercizio o a causa dell’attività lavorativa svolta, ovvero se, in presenza di fattori plurimi, la prestazione medesima costituisce “condicio sine qua non” della malattia.
Occasione della pronuncia in esame il ricorso presentato dall’INAIL avverso la sentenza di II grado che aveva riconosciuto il diritto di un lavoratore dipendente alla tutela assicurativa, per aver contratto la patologia a causa dei ripetuti traumi dovuti all’uso prolungato della propria autovettura per effettuare il percorso casa-lavoro, e condannato di conseguenza l’ente previdenziale al pagamento della relativa indennità.
Le argomentazioni portate dall’INAIL a sostegno dell’impugnazione hanno convinto la Suprema Sezione lavorista: essendo la patologia portata all’attenzione dei giudici da valutare in base ai requisiti prescritti per le malattie professionali, ma mancando nella stessa quell’imprescindibile legame-nesso eziologico con l’attività lavorativa, essa non può essere indennizzata dal momento che la tutela dei rischi connessi al percorso casa- lavoro è limitata alla fattispecie dell’infortunio in itinere e non si estende alle malattie professionali.
E’ solo con riguardo all’infortunio sul lavoro che, secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato – sottoposto peraltro a rigorosa verifica – la copertura assicurativa va estesa anche agli eventi verificatisi al di fuori dei luoghi di lavoro e non solo nel corso della prestazione lavorativa. Corollario di ciò è che “non è consentito procedere tout court ad una interpretazione estensiva o analogica della normativa dettata per l’infortunio sul lavoro alla malattia professionale, potendo quest’ultima essere tutelata con il riconoscimento della relativa rendita in quanto venga causata dal lavoro e non contratta in occasione del lavoro”.
Fondato, dunque, per il Giudice del Lavoro Supremo il ricorso proposto che, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda dell’originario ricorrente(lavoratore).
La rendita per malattia professionale richiede che la malattia sia contratta nell'esercizio o a causa della lavorazione svolta, sicché il riconoscimento del diritto alla rendita implica uno stretto nesso tra patologia ed attività lavorativa, che in casi di fattori plurimi deve costituire "la condizione sine qua non della malattia".
Il requisito della inscindibile connessione tra rendita ed attività lavorativa caratterizza la differenza tra malattia professionale ed infortunio sul lavoro: solo in relazione a quest'ultimo infatti la copertura assicurativa va estesa anche agli eventi verificatisi al di fuori dei luoghi di lavoro e non solo nel corso della prestazione lavorativa, nonché per accadimenti ricollegabili seppure in forma indiretta allo svolgersi dell'attività di lavoro.
Pertanto non è indennizzabile l'ernia discale denunciata dal lavoratore in conseguenza dei ripetuti traumi dovuti all'uso prolungato della propria autovettura per effettuare il percorso casa-lavoro, considerato che, essendo la stessa da valutare in base ai requisiti prescritti per le malattie professionali, la tutela dei rischi connessi al percorso casa-lavoro è limitata alla fattispecie da infortunio in itinere e non si estende alle malattie professionali. (1)
(*) Riferimenti normativi: artt. 2-3, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.
(1) Cfr. Cass. Civ., sez. lavoro, sentenza 10 luglio 2012, n. 11545.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 3 luglio - 9 ottobre 2013, n. 22974
(Presidente Vidiri – Relatore De Renzis)
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 1926 del 2007, in riforma della decisione di primo grado del Tribunale di Rieti, ha condannato l'INAIL al pagamento a favore di GI.FU. della somma corrispondente all'indennità giornaliera ex art. 6 n. 1 DPR n. 1124 del 1965 per 61 giorni, pari ad Euro 2845,04, oltre accessori.
La Corte territoriale ha riconosciuto l'esistenza del nesso causale tra la patologia (ernia discale) denunciata dal Fu. e il prolungato tragitto giornaliero (OMISSIS) andata e ritorno, protrattosi per diciannove anni attraverso l'utilizzo del proprio autoveicolo.
L'INAIL ricorre per cassazione affidandosi a un motivo, illustrato con memoria ex art. 378 CPC.
Il Fu. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con l'unico motivo l'INAIL lamenta violazione e falsa applicazione degli art. 2 e 3 del DPR n. 1124 del 1965.
L'ente previdenziale sostiene che l'impugnata sentenza è palesemente errata, in quanto ha ritenuto che il rischio connesso all'uso prolungato nel tempo del proprio autoveicolo per effettuare il percorso di andata e ritorno dall'abitazione al luogo di lavoro sia oggetto di tutela non soltanto nel caso di infortunio, ma anche nel caso, come quello di specie, di malattia, contrariamente a quanto previsto dalla normativa richiamata.
Il motivo è illustrato dal seguente quesito di diritto: "Essendo stato accertato in fatto che il lavoratore, nella fattispecie di cui è causa, ha contratto la patologia denunciata in conseguenza dei ripetuti traumi dovuti all'uso prolungato della propria autovettura per effettuare il percorso casa-lavoro, è incorsa nel vizio di violazione dell'art. 3 del DPR 30 giugno 1965 n. 1124 e falsa applicazione dell'art. 2 dello stesso DPR, la sentenza, con la quale sia stata riconosciuta l'indennizzabilità della predetta patologia, considerato che, essendo la stessa da valutare in base ai requisiti prescritti per le malattie professionali, non avrebbe potuto essere indennizzata, dal momento che la tutela dei rischi connessi al percorso casa- lavoro è limitata alla fattispecie da infortunio in itinere e non si estende alle malattie professionali".
2. Il motivo è fondato.
Questa Corte di Cassazione ha più volte statuito che la rendita per malattia professionale richiede che la malattia sia contratta nell'esercizio o a causa della lavorazione svolta, sicché il riconoscimento del diritto alla rendita implica uno stretto nesso tra patologia ed attività lavorativa, che in casi di fattori plurimi deve costituire "la condizione sine qua non della malattia". Ed infatti i giudici di legittimità proprio sulla base dello stretto legame tra attività lavorativa e malattia hanno distinto, ad esempio, la rendita dall'equo indennizzo per il cui riconoscimento è stato ritenuto sufficiente che la menomazione subita dal lavoratore sia comunque connessa con il servizio prestato (cfr ex pluribus Cass. 20 agosto 2004 n. 16392; Cass. 23 novembre 2010 n. 23674, Cass. 26 agosto 2005 n. 17354).
Il requisito della inscindibile connessione tra rendita ed attività lavorativa caratterizza anche la differenza tra malattia professionale ed infortunio sul lavoro. Solo in relazione a quest'ultimo secondo un indirizzo ormai consolidato la copertura assicurativa va estesa anche agli eventi verificatisi al di fuori dei luoghi di lavoro e non solo nel corso della prestazione lavorativa (cfr da ultimo Cass. 18 marzo 2013 n. 6725), nonché per accadimenti ricollegabili seppure in forma indiretta allo svolgersi dell'attività di lavoro (così di recente: Cass. 10 luglio 2012 n. 11545).
E che gli istituti scrutinati siano ontologicamente diversi si evince anche dalla lettura dell'art. 3 del DPR 30 giugno 1924 n. 11224 che ricollega l'assicurazione per le malattie professionali a specifiche tabelle a dimostrazione della configurabilità di un nesso eziologico tra malattia ed esercizio di attività lavorativa con possibili effetti morbigeni. In altri termini il DPR 30 giugno 1965 n. 1124 distingue tra due ben diverse qualificazioni giuridiche di eventi lesivi oggetto di tutela, ossia "infortunio sul lavoro" e "malattia professionale". Questi eventi, legittimando domande con una diversa causa pretendi (agente patogeno che nella generalità dei casi provoca la malattia con azione lenta e prolungata nel tempo o fatto lesivo dell'integrità dell'organismo che si caratterizza generalmente per esaurirsi in tempi limitati) ed un diverso petitum (diversa prestazione dovuta dall'Istituto), richiedono conseguentemente sul versante processuale una distinta articolazione delle prove con riguardo anche al nesso eziologico.
Corollario di quanto ora detto è che non è consentito procedere tout court ad una interpretazione estensiva o analogica della normativa dettata per l'infortunio sul lavoro alla malattia professionale, potendo quest'ultima essere tutelata con il riconoscimento della relativa rendita in quanto “venga causata dal lavoro" e "non contratta in occasione di lavoro". Considerazione questa che vale per non estendere anche alla malattia professionale orientamenti giurisprudenziali sorti sulla base di un collegamento funzionale in materia di infortunio sul lavoro tra l'attività di locomozione e di spostamento e quella di stretta esecuzione dell'attività lavorativa; collegamento il cui riconoscimento da parte della stessa giurisprudenza è stato per di più sottoposto a rigorosa verifica di precisi presupposti (cfr al riguardo da ultimo ex plurimis: Cass. 18 marzo 2013 n. 6725; Cass. 3 novembre 2011 n. 22759).
Non appare quindi condivisibile l'assunto del controricorrente che addebita alla indicata opzione interpretativa un profilo di palese incostituzionalità dell'art. 3 del DPR n. 1224 del 1965 per violazione del disposto dell'art. 38, 2 comma, Cost., dovendo le prestazioni previdenziali parametrarsi a secondo della natura degli eventi e delle loro ricadute e dovendosi in ogni caso bilanciarsi in materia previdenziale ed assistenziale l'interesse garantito dal citato art. 38 Cost. con quello dello Stato e della sua collettività al rispetto del bilancio, che già garantito dall'art. 81 della Carta costituzionale assume ora rilievo, come è noto, anche in ambito comunitario.
Il ricorso in conclusione va accolto e per l'effetto l'impugnata sentenza va cassata.
Non essendo necessario ulteriori accertamenti in fatto, può essere emessa decisione nel merito con il rigetto della domanda proposta dall'originario ricorrente. Ricorrono giustificate ragioni, tenuto conto della particolarità della fattispecie e delle alterne vicende della causa in fase di merito, per compensare le spese dell'intero processo tra le parti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa tra le parti le spese dell'intero processo.
Fonte: Altalex