Corte di Giustizia UE , sez. VIII, ordinanza 12.12.2013 n° C-50/13
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con ordinanza del 12 dicembre 2013, causa C-50/13, ha censurato il sistema sanzionatorio previsto dall’ordinamento italiano per i casi di abuso di contratti di lavoro a tempo determinato nella pubblica amministrazione.
In relazione alla fattispecie oggetto di ricorso, la Corte europea ha dichiarato che:
“L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, prevede soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte dal citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione.
Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi”.
La Corte di Giustizia U.E. ha rimesso la questione al giudice italiano, che dovrà pronunciarsi applicando la normativa nazionale in conformità ai rilievi anzidetti, eventualmente disapplicandola se in contrasto con la normativa comunitaria.
I giudici dell’Unione, peraltro, pur non entrando nel merito della controversia, hanno ammonito il legislatore italiano, ritenendo che, nel caso di specie, “la prova richiesta in diritto nazionale [per il risarcimento del danno] può rilevarsi difficilissima, se non quasi impossibile da produrre da parte [del] lavoratore (…). Pertanto, non si può escludere che questa prescrizione sia tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte di questo lavoratore, dei diritti attribuitigli dall’ordinamento dell’Unione e, segnatamente, del suo diritto al risarcimento del danno sofferto, a causa dell’utilizzo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato”
Le critiche mosse dalla Corte U.E. hanno riacceso il dibattito intorno alla legittimità del divieto di conversione a tempo indeterminato previsto dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001. Tale disposizione, diversamente da quanto avviene nel settore privato, vieta la trasformazione a tempo indeterminato in caso di utilizzo abusivo di contratti di lavoro a termine da parte della P.A., riconoscendo al lavoratore pubblico soltanto il diritto di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi (e dimostri) di aver sofferto.
Possibili conseguenze - Il giudice italiano potrebbe disapplicare la norma predetta, qualora la ritenga in contrasto con quella europea, individuando un’altra misura effettiva per sanzionare l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato nel pubblico impiego.
La sanzione alternativa potrebbe essere quella prevista nel settore privato dal D.Lgs. n. 368/2001, ossia la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato[1], ad esempio nei casi in cui l’assunzione del lavoratore a termine sia avvenuta con procedure di concorso simili a quelle bandite per il personale di ruolo, ex art. 97 Cost. Ma giudice italiano potrebbe adottare una soluzione in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione. Ad esempio, potrebbe “facilitare” il risarcimento, presumendo che il lavoratore abbia subito un danno in presenza dal mero comportamento abusivo della P.A. Una forma di responsabilità oggettiva della P.A., che solleverebbe il lavoratore dell’onere probatorio a suo carico, ritenuto dalla Corte U.E. eccessivamente gravoso[2].
Per comprendere la reale portata dell’ordinanza in commento e le possibili ricadute sul nostro ordinamento, è opportuno ripercorrere i passaggi principali dell’iter motivazionale seguito dalla Corte di Lussemburgo, partendo dal caso concreto preso in esame.
Il caso – Il lavoratore, premesso di aver prestato servizio alle dipendenze del Comune in base a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati ininterrottamente dal 1983 al 2012, proponeva di ricorso avverso la decisione del Comune di porre fine al predetto rapporto di lavoro, chiedendo l’accertamento dell’illegalità del termine apposto al contratto di lavoro e, di conseguenza, la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato e, in subordine, il risarcimento del danno che egli ritiene di aver subito a causa dell’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
La questione pregiudiziale rimessa alla Corte di Giustizia - Il Tribunale, accertata la condotta abusiva della P.A., ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia Europea, chiedendo se la normativa italiana possa ritenersi compatibile con quella comunitaria, nella parte in cui, a fronte dell’utilizzo abusivo di contratti a termine nel settore pubblico, l’art. 36, comma 5, d.lgs. 165/2001 non solo vieta (a differenza del privato) qualsiasi trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, ma consente al lavoratore pubblico di beneficiare del risarcimento del danno sofferto solo qualora ne dimostri la concreta sussistenza. Una prova che, secondo il tribunale, imporrebbe al lavoratore una prova particolarmente difficile, consistente nel dimostrare che egli abbia dovuto rinunciare a migliori opportunità di lavoro.
I rilievi dei giudici europei – La Corte U.E., richiamando i propri precedenti in materia, osserva come la Dir. 1999/70/CE, che recepisce l’Accordo quadro sui contratti a tempo determinato, non esclude a priori la possibilità che una normativa nazionale preveda un differente trattamento sanzionatorio tra lavoratore pubblico e lavoratore privato, purché la diversa sanzione sia idonea a dissuadere l’utilizzo abusivo dei lavoratori a termine e non importi violazione del principio generale di non discriminazione.
Il diritto comunitario non prevede sanzioni specifiche, rimettendo agli Stati membri il compito di adottare misure adeguate per far fronte a una siffatta situazione. Misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro, non dovendo “essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza)”.
Da ciò consegue che la conversione del rapporto a tempo determinato non è prevista come l’unica sanzione possibile dell’illegittima successione di contratti a termine, essendo rimessa alla legislazione dei singoli Stati e alla contrattazione collettiva l’individuazione delle condizioni che possono determinare un simile effetto.
“Affinché una normativa nazionale che vieta, nel solo settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato potrà essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione” (C.G.E., sentenza 07/09/06, causa C-53/04 e C-180/04). “Qualora l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato non prevede, nel settore considerato, altra misura effettiva per evitare e, nel caso, sanzionare l’utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato successivi, il detto accordo quadro osta all’applicazione di una normativa nazionale che vieta in maniera assoluta, nel solo settore pubblico, di trasformare in un contratto di lavoro a tempo indeterminato una successione di contratti a tempo determinato che, di fatto, hanno avuto il fine di soddisfare fabbisogni permanenti e durevoli del datore di lavoro e devono essere considerati abusivi”(C.G.E., sentenza 04/07/06, C-212/04).
Tutto ruota intorno all’effettività concreta della sanzione - A fronte del divieto di conversione previsto dal nostro ordinamento, dunque, occorre verificare se il rimedio risarcitorio previsto dell’art. 36, D.Lgs. n. 165/2001 rivesta i caratteri della proporzionalità, effettività e dissuasività e, dunque, sia idoneo a evitare e, eventualmente, sanzionare l’utilizzo abusivo dei contratti a termine da parte della P.A., secondo i parametri comunitari. Spetta al giudice nazionale, unico competente a pronunciarsi sull’interpretazione del diritto interno, valutare in che misura le disposizioni di tale diritto miranti a punire il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, rispettino i principi di effettività ed equivalenza.
(Altalex, 11 marzo 2014. Nota di Giuseppe Donato Nuzzo)
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[1] Cfr. Conversione a tempo indeterminato? Vale anche nel pubblico impiego, nota a Tribunale Trani, sez. lavoro, sentenza 15 marzo 2012, n. 154.
[2] Cfr. Pubblico impiego: responsabilità della Pa per uso illecito di contratti a termine, nota a Tribunale Trapani, sez. lavoro, sentenza 15 febbraio 2013, n. 90.