In questo numero:
- Un numero anomalo
- Contratti Pubblici e nuove assunzioni: Sogniamo il futuro
- Piano occupazionale: le bugie della Bisconti
- Dipendenti Pubblici: come ti cancello l’art. 18
- Produttività anche per i lavoratori a termine
- Ritorno alle corporazioni fasciste?
- Manifesto delle relazioni industriali
- Non può essere traferito il lavoratore che assiste un invalido ma non ha la 104
- Riforma tributaria: un regalo agli evasori
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Un numero anomalo
Come potrete vedere questo numero di Prendiamo la Parola è un po' anomalo, in quanto troverete articoli che apparentemente poco riguardano la vita dei lavoratori del comune di Milano. In realtà a nostro avviso esiste un filo sottile che li collega al nostro vivere ai nostri problemi.
Perché nel mondo del lavoro e nella vita sociale i vari eventi non sono isolati fra loro ma fanno parte di un unico puzzle e capire quello che accade un po' più in là ci permette di comprendere qualcosa di più.
Gli articoli a pagina 3 e 4 anche se parlano del lavoro privato e dell'evasione fiscale ci riguardano eccome.
I primi due ci mettono in evidenza come sia il governo (volutamente minuscolo) che gli industriali vogliono ridurre al silenzio i sindacati.
L’altro articolo mette in evidenza come ancora una volta sia ben chiara la volontà di non fare lotta all’evasione fiscale.
Ma quando l’evasione fiscale stimata è di oltre 180 miliardi di euro e la manovra economica per il 2016 è fra i 27 – 30 miliardi possiamo capire bene quante cose si potrebbero fare con i soldi dell’evasione.
Tutto questo ci dice chiaramente che gli interessi dei lavoratori sono ben diversi da quelli che la classe politica tutela e su questo dobbiamo riflettere attentamente.
Contratti Pubblici e nuove assunzioni: Sogniamo il futuro
Parlare del rinnovo dei contratti del pubblico impiego, è per noi come voler mettere il dito nella piaga.
Dopo anni di blocchi contrattuali il governo Renzi, propone una cifra che ha il sapore della beffa, della presa per i fondelli. Il blocco del turn over del personale continua ad esistere e il personale del pubblico impiego continua a diminuire e a diventare uno dei più anziani nelle medie europee. Le prospettive future che questa classe politica di centro-sinistra e centro-destra ci propongono sono a tinte fosche.
L’azione sindacale fin qui ha mostrato i suoi limiti, in quanto non è riuscita a fermare questa deriva. Diventa chiaro allora che la parola e l’azione deve tornare in mano ai lavoratori. Riorganizzarsi dal basso e utilizzare le organizzazioni sindacali esistenti e disponibili per una campagna di rivendicazioni più efficace e più dura. Nel tempo i governi di ogni sfumatura politica hanno fatto di tutto per imbrigliare e limitare le lotte dei lavoratori ed in particolare di quelli del pubblico impiego, limitando il diritto di sciopero, svuotando il ruolo sindacale a colpi di decreti legge. Anche questo è un chiaro segno che ci indica la necessità di un cambiamento di rotta. È venuta l’ora di rompere gli indugi di rompere le catene e saper riappropiarci di metodi di lotta più incisivi. È in questa ottica che lavoratori, attivisti e delegati di varie organizzazioni stanno tenendo degli incontri aperti a tutti i delegati e i lavoratori interessati a lottare per il loro futuro. Qui a Milano questo momento di incontro si è tenuto lo scorso 10 dicembre, e ha portato alla decisione di collegarsi e supportare gli altri incontri che si stanno svolgendo sul territorio cercando in tal modo di unificare le lotte a livello nazionale e tentare di smuovere qualcosa in questo stagno paludoso.
Piano occupazionale: le bugie della Bisconti
L’assessora Bisconti ha comunicato alla stampa che la Giunta comunale, nella seduta di venerdì 27 novembre, ha approvato la delibera sulle politiche occupazionali per il 2015. Si tratta di una decisione politica molto importante. Con questo atto infatti la Giunta comunale pone fine unilateralmente al confronto con la RSU e le organizzazioni sindacali su questo tema. Da notare che solo due giorni prima il Direttore Generale Tomarchio, ricevendo una delegazione sindacale in occasione della riuscita assemblea unitaria delle lavoratrici e dei lavoratori del Comune di Milano, si era impegnato a proseguire nella trattativa. Questa vicenda dimostra che per la Giunta Pisapia, come per il Governo Renzi, le organizzazioni sindacali, quando fanno il loro mestiere, e cioè rappresentano con coerenza gli interessi dei lavoratori e dei cittadini fruitori dei servizi pubblici, sono solo un fastidio e un disturbo. Nel suo comunicato inoltre l’assessora Bisconti rivendica con orgoglio il fatto che la Giunta Pisapia, negli anni del proprio mandato, avrebbe assunto più di 1.000 persone, spacciando questo come un grande contributo all’occupa-zione. Peccato si dimentichi di dire che, nello stesso periodo, le cessazioni hanno superato le 2.000 unità. Ciò vuol dire che il Comune di Milano ha oggi circa 1000 lavoratori in meno rispetto a cinque anni fa. A rigor di logica quindi, ciò che questa Giunta ha prodotto non è occupazione ma, al contrario, disoccupazione. L’assessora dichiara inoltre di aver avviato un percorso di stabilizzazione dei precari. Anche questa è una verità parziale, in quanto la stabilizzazione promessa non riguarda tutti i precari attualmente in servizio al Comune di Milano, e circa 160 di loro verranno licenziati il 1 gennaio. Questa continua riduzione del personale ha significato – e significherà sempre di più nei prossimi anni – un abbassamento degli standard quantitativi e qualitativi dei servizi erogati ai cittadini e un continuo peggioramento delle condizio-ni di lavoro. Ciò rivela la precisa volontà politica di esternalizzare e privatizzare i servizi pubblici e i beni comuni. In questo – al di là della retorica “di sinistra” adottata dai suoi esponenti – la Giunta Pisapia ha dimostrato una sostanziale continuità con le giunte precedenti. Bisogna dunque continuare la mobilitazione per ottenere le assunzioni necessarie a far funzionare i servizi evitandone l’esternalizzazione, e per garantire alle lavoratrici e ai lavoratori precari un reddito e un futuro.
Dipendenti Pubblici: come ti cancello l’art. 18
Anche i dipendenti pubblici potranno essere licenziati senza obbligo di riassunzione, ormai credere al Governo, e ai sindacati che gli tengono corda, non conviene e ora ne abbiamo una ulteriore dimostrazione. La Corte di Cassazione, sentenza n. 24157/2015, dopo 3 anni di querelle, decide che la riforma dell’articolo 18, anzi il suo stravolgimento con la legge Fornero riguarda anche il pubblico. Quindi ben presto la disciplina delle tutele crescenti potrebbe estendersi, a colpi di decreti legislativi e interpretazioni della Consulta, allo stesso settore pubblico ormai privatizzato. Basta del resto cambiare qualche articolo del testo unico della Pubblica amministrazione (dlgs165/2001) per avere una pezza di appoggio giuridica necessaria a uniformare tutto il mondo del lavoro, pubblico e privato, ai decreti attuativi del Jobs act presenti e futuri. A supportare la decisione della Corte c’è il fatto che lo Statuto dei lavoratori e le sue modifiche (tra le quali la sostanziale riscrittura dell’art 18) valgono non solo per il privato ma anche per il pubblico impiego. I\le dipendenti della Pubblica amministrazione potranno essere licenziati con maggiore facilità e per loro scatterà un risarcimento da fame al posto della reintegra. E non finisce qui perché il prossimo obiettivo sarà la piena applicabilità delle Tutele crescenti al pubblico. Con i decreti attuativi della Legge Madia, la piena applicazione della Legge Brunetta, si annunciano licenziamenti di massa nel pubblico impiego dopo gli esuberi nelle Province. Credere alla storiella che nel pubblico esistano tutele maggiori non sarà più possibile, anzi per noi ci sarà anche lo spettro della Magistratura contabile e il ricorso sistematico ai provvedimenti disciplinari. La riforma della Pubblica amministrazione sta arrivando in porto senza alcuna opposizione e nel silenzio assenso dei\lle dipendenti e dei sindacati della PA ad eccezione del sindacato di base. E questo non è un problema che riguarda solo i lavoratori del pubblico impiego, perché alla base di tutto ciò c’è la volontà di smantellare il servizio pubblico, di ridurre il più possibile il welfare e tutto questo riguarda tutti soprattutto i lavoratori poiché un buon welfare può essere considerato come salario accessorio.
Produttività anche per i lavoratori a termine
Con sentenza n. 23487 del 17 novembre 2015, la Cassazione ha affermato che i lavoratori con contratto a termine non possono essere esclusi, salvo elementi specifici e concreti, dalla erogazione di premi di produttività nel settore pubblico, atteso che, a prestazioni analoghe, deve corrispondere un uguale trattamento economico, cosa che prescinde dall’inqua-dramento contrattuale.
Da molti anni i lavoratori precari degli enti pubblici sono esclusi dai trattamenti salariali accessori, insomma non percepiscono (in propor-zione al lavoro svolto) quanto invece viene erogato (giustamente) ai colleghi di ruolo. Sarebbe opportuno capire cosa si intenda per elementi concreti e specifici, resta il fatto che i precari hanno permesso la gestione dei servizi pubblici negli ultimi anni, e il loro contributo è stato indispensabile. Cosa intendono fare allora le amministrazioni locali e gli enti pubblici dopo questa sentenza della Cassazione?
Ritorno alle corporazioni fasciste?
Renzi vuole imporci la strada delle Corporazioni di mussoliniana memoria, che cancellano la possibilità di organizzarsi in sindacato?
Nella legge di stabilità (Atti parlamentari Senato della Repubblica art. 12) viene reintrodotta la detassazione degli straordinari e salari di produttività per tutto l’anno 2016. Sulla quota di salario di produttività, di partecipazione agli utili dei lavoratori o di welfare aziendale derivante dalla contrattazione aziendale si applica l’aliquota ridotta del 10% con uno sgravio fiscale complessivo di 430 milioni nel 2016 che sale a 589 negli anni successivi. Il bonus avrà un tetto di 2.000 euro (estendibile a 2.500 se vengono contrattati anche istituti di partecipazione) e sarà utilizzabile per tutti i redditi fino a 50.000 euro. Il punto incriminato è al comma 8: "Il limite di cui ai commi 1 e 3 è aumentato fino ad un importo non superiore a 2.500 euro per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell'organizzazione del lavoro, con le modalità specificate nel decreto di cui al comma 7."
Nel testo si parla di lavoratori e non di sindacato, da alcune dichiarazioni il modello ispiratore sembra quello tedesco. In Germania all’interno di questi comitati, ci sono lavoratori eletti dall’azienda, che non sono quindi espressione del sindacato. Cesare Damiano, presidente della commissione lavoro della Camera del Pd, ha depositato un emendamento – che come dice lui stesso – “ va nella direzione dell’esplicito coinvolgimento del sindacato quando si parla di «partecipazione paritetica» all’organizzazione del lavoro”, perché così com’è scritto nella legge di Stabilità, “lascia spazio a comitati dei lavoratori extra sindacali”. Quindi per Damiano va bene la partecipazione paritetica con l’azienda all’organizzazione del lavoro, purché i comitati con i delegati eletti dall’azienda, siano composti da lavoratori iscritti al sindacato. Sempre nel Pd l’economista parlamentare Carlo Dell’Aringa, sostiene invece che i comitati sul modello tedesco, possono tranquillamente essere composti da lavoratori anche non iscritti al sindacato, e convivere con il sindacato nei problemi dell’azienda. Nel modello partecipativo aggiunge Dell’Aringa “bisogna mettere da parte la conflittualità per non arrivare al conflitto aperto”. Nei prossimi giorni se ne discuterà in parlamento. Noi lavoratori dobbiamo discuterne per capire bene di cosa si tratta. Se come sembra a prima vista ci vogliono portare sulla strada delle Corporazioni e seppellire la possibilità di organizzarci in un sindacato, bisogna mobilitarsi subito per non far passare questo disegno. Noi pensiamo che la partecipazione diretta dei lavoratori sia un elemento fondamentale per risalire dalla deriva in cui stiamo precipitando e i nostri incontri sono sempre stati aperti a tutti. Ma il principio è diverso, dietro un apparente democrazia in realtà si vuole eliminare il diritto di rivendicazione dei lavoratori, assoggettarli completamente alle politiche aziendali, così come previsto dal Manifesto delle Relazioni industriali di cui parliamo qui sotto. Inoltre laddove tali proposte hanno trovato applicazione, nulla è cambiato per i lavoratori, anzi …
Ancora una volta il governo Renzi mostra la sua vera faccia reazionaria e conservatrice.
Manifesto delle relazioni industriali
Pochi conoscono il Manifesto delle Relazioni industriali di Federmeccanica ma tutti farebbero bene a leggerselo soprattutto quanti sono impegnati nei rinnovi contrattuali. Il breve documento non presenta elementi sostanziali di novità rispetto a quanto già detto e scritto dai vertici industriali ma rappresenta una sorta di vademecum per la parte datoriale che siede ai tavoli contrattuali. Partecipazione e confronto con chi e su quale basi?
Le parti sociali e gli individui coinvolti in un nuovo patto fondante le nuove Relazioni sociali.
Ci suona spontaneo il richiamo alla Carta del lavoro del 1927 ove il contratto viene visto come conciliazione tra gli interessi dei lavoratori e dei padroni, entrambi subordinati alle ragioni della produzione. Il fascismo ideò le associazioni professionali, corporazioni che inglobavano teoricamente gli interessi del datore e della sua forza lavoro, nei fatti le cose andarono diversamente perché il potere industriale, con relative ruberie, rimase saldamente nelle mani dei poteri forti e dei loro proprietari antecedenti all’avvento di Mussolini.
Non pensiamo che il Manifesto di Federmeccanica voglia riproporsi come versione attualizzata della Carta del Lavoro ma ove si prefigura un patto unificante a prescindere dagli interessi di parte è impossibile non cogliere qualche pericolosa analogia.
Federmeccanica parla di priorità non della produzione ma degli obiettivi aziendali di sviluppo e di crescita, cambia il linguaggio ma la prospettiva è la stessa se pensiamo che parte di questa produzione viene delocalizzata all’estero dove il costo del lavoro è un decimo e ove lo sfruttamento delle risorse ambientali non conosce limiti ma si avvale di legislazioni favorevoli. Nelle fabbriche italiane trovate per caso lavoratori motivati e soddisfatti del loro lavoro, delle condizioni in cui operano e della loro stessa retribuzione? Sviluppo delle relazioni interne all’azienda sono solo funzionali a:
- disarticolare il contratto nazionale;
- legare sempre più la contrattazione al secondo livello;
- legare i pochi aumenti alla crescita della produttività individuale e collettiva, alla subalternità ai tempi e ai modi di produrre dettati dall’azienda (straordinari, lavoro festivo, cottimo più o meno mascherato, deroghe ai contratti nazionali, rinuncia ai permessi individuali come quelli legati alla 104 o ai congedi di maternità e paternità) affermazione di una cultura che abiura il conflitto e la difesa degli interessi dei lavoratori in nome di un interesse superiore, quello aziendale;
- le relazioni sindacali sostituite da relazioni industriali all’insegna, come nella Carta del Lavoro Fascista, della collaborazione.
Il contratto nazionale nella “nuova” filosofia padronale vien visto come un ostacolo che presuppone tempi lunghi, scioperi e situazioni conflit-tuali, meglio ristabilire una intesa sul piano aziendale in nome di un sistema relazionale che prevede il superamento del sindacato come strumento di difesa della classe lavoratrice.
In altri termini anche questo strumento imperfetto, piegato a logiche e pratiche subalterne, sta diventando un ostacolo da rimuovere per i padroni in nome della produt-tività, della ripresa, di un confronto sui grandi temi che ovviamente non viene mai esplicitato perché confronto non è ma assuefazione agli obiettivi padronali.
Il Manifesto svela comunque, al di là del linguaggio imbonitore, i suoi obiettivi: le dinamiche salariali crescono molto più dei profitti del settore, quindi si contraggano i salari a vantaggio dei profitti e a tale scopo serve un nuovo sistema di relazioni sindacali a partire dal secondo livello potenziato a svantaggio del ccnl.
Le regole chiare, semplici, certe ed esigibili richieste dal Manifesto di Federmeccanica sono presto fatte: le deroghe ai contratti nazionali non sono più sufficienti, serve un nuovo modello che sia sempre più sbilan-ciato verso il secondo livello, serve alla classe padronale\industriale un nuovo sistema di regole che non preveda obblighi e regole, appunto una sorta di carta del lavoro sempre più snella che permetta ai padroni piena libertà di azione in materia di orari, paghe, contratti, una grande deregulation dei diritti sbandierata come moderno sistema di relazione. Di moderno in realtà ha ben poco, ricorda piuttosto gli albori del capitalismo industriale quando le condizioni erano di semischiavitù.
Non può essere traferito il lavoratore che assiste un invalido ma non ha la 104
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22421/15 del 3 novembre 2015, si è pronunciata sui benefici della legge 104 anche a chi non ha la 104, in particolare in materia di trasferimento del lavoratore.
Secondo la Corte è illegittimo il trasferimento e il successivo licenziamento per rifiuto al cambio di sede, del lavoratore che, pur non essendo titolare dei benefici della legge 104, presenta un certificato dello stato di famiglia comprendente anche un parente con invalidità al 100%. D’altra parte – si legge ancora nella sentenza – alla legge 104 e ai benefici relativi al divieto di trasferimento del lavoratore si deve dare un’interpretazione “larga”, cioè orientata alla tutela dei principi costituzionali coinvolti: sicché il diritto del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parete o affine entro il 3° grado handicappato, di non essere trasferito in altra sede senza il suo consenso non può subire alcuna limitazione.
Del resto, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, in passato, ha condannato l’Italia per non aver imposto a tutti i datori di lavoro di prevedere, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, soluzioni ragionevoli applicabili a tutti i disabili.
Ogni tanto qualche buona notizia.
Riforma tributaria: un regalo agli evasori
Il 22 ottobre 2015 è entrata in vigore la legge di "riforma dei reati tributari". Apparentemente sembra non riguardare il mondo del lavoro salariato. Ma così non è.
Questa legge ha aumentato le soglie al di sotto delle quali non scatta più il reato di evasione fiscale per Iva non versata e ritenute fiscali effettuate ai lavoratori dai padroni, che poi non li versano allo stato.
Per essere più precisi e capire quello che ha "combinato" il governo - a favore di padroni e evasori - c'è lo dice l'art.10bis della legge approvata, prevedendo che la soglia delle ritenute fiscali(tasse) trattenute ai lavoratori passa da 50.000€ a 150.000€ all'anno triplicando rispetto al passato(sotto questa soglia - 150.000€ - si può evadere perché non è più reato); quella dei mancati versamenti Iva è salita di 5 volte a 250.000€ all'anno previsto dall'art. 10 ter della stessa legge.
Dice il procuratore della repubblica di Udine in un'intervista al giornale il Fatto Quotidia-no del 5 novembre 2015 che deve restituire i soldi agli evasori già accertati pari a 7 milioni di euro.
Quanti saranno a livello nazionale? Probabilmente centinaia di milioni che potevano essere usati per i disoccupati e che invece finiranno nelle tasche dei furbi. Bravo Renzi.
Ora un governo, che taglia i diritti dei lavoratori, che approva il jobs act per precarizzare il lavoro, che non rinnova i contratti dei pubblici dipendenti da 6 anni, che vuole togliere il diritto di sciopero, che taglia le pensioni dei lavoratori ma non quelle dei ricchi, cianciando che così si ottiene la ripresa economica, ma fa una legge a favore dei padroni, delle cooperative spurie e della delinquenza, per farli evadere legalmente senza che nessuno, (giornali, mass-media, opinionisti) si scandalizzi o protesta, è molto grave ed è una dimostrazione lampante per i lavoratori che il governo, questo come altri che verranno, è il rappresentante dei capitalisti e degli evasori che a parole dice di combattere.
L'unica vera lotta all'evasione il governo la fa sui lavoratori dipendenti e pensionati controllando il loro misero 730 o introducendo un ISEE che penalizza i giovani studenti o gli invalidi che hanno bisogno di assistenza.